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martedì 27 maggio 2014

Gagliato (Provincia di Catanzaro)

Tutto quello che c’è da sapere su Gagliato: Personalità, Storia, Cultura, Turismo, ecc.

Alt.: metri 350 (s.l.m.) - Latitudine: 38° 40’41’04 E
Longitudine: 16° 40’36’48 N
Codice catastale: 0852
Abit.: 563 - Denominazione: Gagliatesi
Cap: 88060 – Prefisso tel.: 0967
Confina con i comuni di Petrizzi, Satriano, Argusto e Cardinale.
La superficie è pari a 6,99 kmq.
Dal capoluogo di regione (Catanzaro) dista circa 40 km

Il comune di Gagliato domina il golfo di Squillace e la baia di Soverato.
L'abitato è arroccato su di un poggio alla sinistra del fiume Ancinale.
Il suo territorio ha un'altezza che varia dai 350 ai 450 metri dal mare.
Dista appena sette minuti dal mare di Soverato e quindici dalle Serre.

Il Santo Patrono è San Nicola di Bari. Si festeggia la prima domenica di agosto e il 5 e 6 dicembre.
Un tempo, in occasione di quest'ultima ricorrenza, si svolgeva una fiera imponente.
Ancor più rinomata, però, anche fuori regione, era quella del bestiame.

Come arrivarci: A3 uscita Lamezia-Catanzaro – SS 280 fino a Catanzaro Lido – SS 106 fino a Soverato – Laganosa – Provinciale «Gagliato Mare». Treni: Stazione FS di Soverato. Autobus: da Soverato, Serra San Bruno, Vibo Valentia. Aeroporto: Lamezia Terme

Website official: http://gagliato.tumblr.com (Gagliato News) e http://gagliato-world.blogspot.com (Gagliato in the World). Entrambi, editi dalla testata giornalistica L’altra Calabria (www.laltracalabria.it) risultano a tutt’oggi risultano i più seguiti e i più documentati culturalmente.

Gagliato, pittoresco centro collinare
che si affaccia a terrazza sul mare

di Vincenzo Pitaro

A due passi dalla riviera ionica soveratese e dalle Serre splendide e incontaminate. Dalla collina su cui sorge, Gagliato si affaccia a terrazza sul mitico mare di Ulisse, tanto decantato da Pindaro, dominandone tutto il golfo di Squillace fino a lambire le aride marne di Punta Stilo.
Una vista panoramica davvero incantevole, esaltata da un’aria tersa e luminosa, tipicamente mediterranea. La vegetazione è ricca e multiforme, grazie al suggestivo contrasto marino e, nello stesso tempo, montuoso che avvolge l’intero territorio collinare. C’è un’aria diversa a Gagliato, ora viva, ora ritemprante.
Celebrato anche da eminenti studiosi, il clima di Gagliato (350 metri di altitudine) è ideale per chi cerca relax e distensione.
Già i latini definivano questo luogo «Salubri loco situm». Gagliato, infatti, sin da secoli lontanissimi, è sempre stata una località climatica per pochi privilegiati. Basti pensare che, nel 1691, padre Giovanni Fiore da Cropani, nella sua «Calabria Illustrata», esaltava Gagliato per le «buone comodità quanto al vivere, abbondando di molte cose», definendola, peraltro, «terra di gran civiltà, posta in bel sito molto vistoso et in aere molto perfetto».
E il marchese Sanchez de Luna, alla cui famiglia questo marchesato apparteneva fin dal 1627, dopo aver lasciato la vi-ta movimentata di Napoli per rifugiarsi nella quiete di Gagliato, così scriveva: «Per ritrovare me stesso, preferisco ritirarmi nella quiete delle mie terre e quivi immergermi nello studio e nella letteratura dei classici antichi, e di tutto ciò che germoglia dagli alberi eruditi dello Stoa e del Peripato». In effetti il marchese Sanchez de Luna amò sovente ritirarsi fra i suoi possedimenti di Gagliato, presso il mare Ionio, per ritrovare serenità di spirito, diletto e saggezza che molti suoi parigrado concittadini ignoravano. «Qui vivo in grembo all’innocenza», scrisse in una sua pubblicazione. Una meraviglia della natura, insomma. Uno spettacolo da sempre incantevole. Un angolo di Calabria davvero bello, esaltato da tutto ciò che una natura, suggestiva e generosa, ha saputo dispensare a piene mani: la serenità della collina (tra l’argento degli ulivi e il verde degli aranci), la sfida dei monti circostanti, il suono ritmico e scrosciante dell’Ancinale (l’antico fiume Cecino descritto da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, ai tempi del quale era navigabile.
Ed ancora: il riflesso del mare Ionio, lo stupore di inattesi panorami dove i raggi del sole, liberati da ogni impurità, irradiano più luce e calore, rendendo più mite l’atmosfera, più limpido il ciclo e più colorato, con attorno un profumo di fiori (acacia, zagara, mandorlo, ginestra, magnolie, oleandri, ecc.) sempre più inebriante. Nasce cosi il clima salubre di Gagliato, dove la primavera, l’estate, l’autunno e l’inverno hanno sempre la loro tipicità tutta mediterranea.
Da queste parti, dunque, è sempre un’avventura restare a contemplare lo spettacolo della natura e meravigliarsi di quanti altri fiori, che nascono spontaneamente, colorano l’ambiente e di quanti uccelli lo rendano più allegro.
Il turista scoprirà l’amena e romantica bellezza di un paesaggio d’altri tempi. Un paesaggio vario e ricco di fascino, dove i colori si accendono, all’improvviso, come in una scenografia e si spalancano per scoprire l’incantevole orizzonte ionico.
Sarebbe davvero un peccato non poter visitare e conoscere più a fondo questo centro del Catanzarese, autentica testimonianza di una storia e cultura millenaria. Oltre alla zona archeologica, ai ruderi della Grangia Certosina, ci sarebbe da incamminarsi per i suoi artistici vicoli, dove è possibile ammirare i portali di antichi palazzi signorili, il caratteristico balconcino secolare in ferro battuto e... tanti altri grandi tesori architettonici che sicuramente non mancheranno di affascinarvi. Perché questo centro pittoresco conserva, da secoli, un ricco patrimonio ancora tutto da scoprire. Ed è anche per questo motivo che, a Gagliato, l’emozione ogni giorno soffia più forte.
© Vincenzo Pitaro
Calabria Letteraria n. 7, Luglio 1998

Personalità - Gagliatesi nel tempo

Sono molti i gagliatesi che, nel lavoro, nelle professioni, nelle arti, si sono distinti egregiamente ed hanno dato onore e lustro a Gagliato. Molti dei quali, tuttora operanti, oggi sono lontani dalla loro terra.
Delle tante personalità (degni professionisti ed amministratori del passato) vissute a Gagliato, meritano una particolare citazione l’eroe Guglielmo Gareri, don Emanuele Calabretta, il professore e scrittore Grazio Pitaro (che negli Anni Cinquanta ebbe il privilegio di conoscere ed intervistare più volte Padre Pio), il poeta Domenico Vitale. Essi pensiamo siano rappresentativi di tutta la popolazione, trattandosi di un eroe, di un parroco e di un intellettuale esemplari, nonché di un illustre poeta.
Guglielmo Gareri (1896-1917) fu combattente, con il grado di sottotenente, della I guerra mondiale. Fu mortalmente ferito a Baita Casalena (TN), dopo che si era opposto eroicamente all'incedere delle truppe nemiche. Gli fu conferita una medaglia di bronzo al valor militare con la motivazione che qui di seguito riportiamo: «Con esemplare coraggio e sprezzo del pericolo, sotto il fuoco intenso e l'incalzare del nemico, incitava i suoi uomini, finché cadde gravemente ferito, il 17 maggio 1917». Lo scrittore Grazio Pitaro, che fra l’altro, come dicevamo, ebbe il privilegio di conoscere ed intervistare Padre Pio, ha pubblicato anche saggio in cui racconta i suoi periodici incontri col Frate taumaturgo del Gargano, oggi San Pio da Pietrelcina. «È stata un’affascinante avventura umana», dice. «Furono momenti di commozione e di riflessione. E già d’allora il Frate dimostrava di avere un abboccamento con Dio». Grazio Pitaro, è nato a Gagliato (CZ) il 5 settembre 1918. Fin da ragazzo ha avuto la vocazione sacerdotale, studiando presso il seminario vescovile di Squillace. Combattente nella Seconda guerra mondiale, ha partecipato alla campagna di Francia, Grecia e di Albania, uscendone ferito. Sposato e padre del giornalista Vincenzo, è stato insegnante (sul finire degli anni Quaranta) in vari centri della Calabria. Nel 1974, periodo in cui si è collocato in pensione, ha ricevuto dal Ministero della Pubblica Istruzione la medaglia d’oro per meriti professionali.
Da sempre, ha continuato a professare vivamente la fede religiosa, mantenendosi vicino alla Chiesa con particolare devozione alla Madonna e una grande considerazione per Padre Pio da Pietrelcina. È scomparso nel 1988 ma il suo ricordo è sempre vivo tra i gagliatesi sparsi nel mondo.
Identica cosa per il sacerdote don Emanuele Calabretta (1906-1972) il cui ricordo è tuttora palpitante e suscita commozione nei parrocchiani gagliatesi, da lui ininterrottamente amministrati spiritualmente per quarant'anni. Fu uno spirito magnanimo, amabile e disponibile con tutti; massime con quanti erano bisognosi di cure e di aiuto. Due generazioni videro in lui, più che il parroco che amava in modo particolare i giovani, (che condusse, compreso chi scrive, alla conquista di tante medaglie d'oro ai certami di catechismo), un faro di luce e di edificazione, al cui esempio poter informare la propria vita.

Gagliatesi d’oggi

Fin qui, i gagliatesi di ieri che hanno lasciato traccia della loro esistenza, distinguendosi. Ma quanti sono e chi sono, oggi, i gagliatesi di rilievo, quelli – diciamo così – che contano, quei gagliatesi che rivestono un ruolo di prestigio, sia rimasti in sede che sparsi nel mondo? Intanto, incominciamo col dire che Gagliato ha dato i natali a due giornalisti: Vincenzo Pitaro ed Elisabetta Mirarchi. Poi, ci fa piacere ricordare gli artisti affermati (quelli della pittura: Giovanni Federico (residente a Roma) e quelli della creatività, che operano in vari settori e che vivono oltreoceano, ancorché poco conosciuti, purtroppo, ancora al grande pubblico.

MIRARCHI Elisabetta, giornalista
È nata a Gagliato, nel 1959. Risiede a Roma. Ha scritto per «l’Unità» e per «Paese Sera», ora presta servizio in Rai, agli Speciali del Tg1. È iscritta all’Albo professionale dei Giornalisti dal 1989.

PITARO Vincenzo, giornalista
Giornalista, Scrittore e Autore Siae per la parte letteraria. Fa parte della Stampa Medica Italiana (gruppo di specializzazione in giornalismo medico-scientifico della FNSI) e del Sindacato Nazionale Scrittori. È iscritto all’Albo professionale dei Giornalisti dal 1985. Ha pubblicato diversi volumi di saggistica, poesia dialettale e narrativa, tra cui «Antologia di Letteratura  Calabrese». Si occupa di uffici stampa e scrive per la pagina Arte, Cultura e Spettacolo del quotidiano Gazzetta del Sud. Altri particolari e servizi sul suo website www.vincenzopitaro.it

FEDERICO Gianni, pittore
Nato a Gagliato, nel 1942, risiede a Roma. Ha frequentato il liceo artistico e si è formato nello studio del pittore N. D’Onofrio. Tratta temi di carattere sociale con i mezzi tradizionali della pittura. Ha tenuto varie personali in molte gallerie d’arte italiane ed ha preso parte a varie collettive e rassegne. Alla sua opera si sono interessati i critici Bonavita, Riviello, Di Genova, Lunetta, Moretti e altri.

Curiosità

A due passi da qui, nacque il nome Italia

In epoca greca, prima delle colonizzazioni, la Calabria era abitata da più comunità, tra cui gli Enotri (coltivatori della vite), i Coni, i Morgeti, gli Itali. Proprio dal mitico sovrano Italo, la regione - che prima ancora si chiamava Enotria - fu detta «Italia» dai colonizzatori ellenici. Il nome, poi, si estese a tutta la penisola. Fu, dunque, la Calabria a dare il nome all’Italia. Molti dizionari enciclopedici - taluni anche volutamente - lo ignorano.  Aristotele, il grande filosofo greco, nel 384 a.C. scrive che Italo era il re degli Enotri e che «da lui questi presero in seguito il nome di Itali, come pure venne chiamata Italia la regione da loro abitata, quella propaggine di coste delimitata a nord dai golfi di S. Eufemia Lamezia e di Squillace, così vicini tra loro che distano solo una giornata di cammino».
(Vincenzo Pitaro)

Tra storia e leggenda
«Jus primae noctis»

La figura di un certo Marchese Sanchez, molto probabilmente un antenato dell’autore delle Fantasie capricciose, è circonfusa da un alone di leggenda che a Gagliato si tramanda di padre in figlio e di generazione in generazione. Si tratta beninteso di leggenda, nel senso che non si hanno riscontri oggettivi nelle documentazioni storiche. Ma avendo tutte le leggende qualche indiscutibile documento storico, vale la pena esporla così come viene narrata dagli anziani di questo centro.
In epoca medievale Gagliato era infeudata ad un certo Marchese Sanchez, al quale le giovinette che intendevano convolare a nozze dovevano pagare il tributo del «jus primae noctis».
La consuetudine si protrasse alquanto nel tempo; senonché giunse in età da prender marito una graziosa fanciulla appartenente alla famiglia di ben precisati Codispoti. Malauguratamente - per il Marchese, s’intende - la promessa sposa aveva quattro robusti fratelli i quali, armati di tutto punto, attesero in casa l’arrivo dei birri che la dovevano prelevare e condurla al Palazzo.
Giunti a destinazione, i tre bravi furono assaliti dai fratelli Codispoti, uccisi e fatti a pezzi. I loro corpi furono esposti nei pressi di Porta San Carlo ad un albero di olivo (che, per l’appunto, ancora oggi porta il nome di «olivara ‘o quartu», a significare i quarti in cui erano stati ridotti quei corpi) spacciandoli per carne macellata di fresco.
Il Marchese, a sua volta braccato dagli animosi fratelli, riuscì a salvarsi nascondendosi in un materasso imbottito di paglia che fu fatto trasportare dai domestici, fuori paese, al sicuro.
Del singolare Marchese non si sa se sia più tornato o meno nei suoi possedimenti, o che fine abbia fatto in seguito a quello episodio. Di certo si sa che da quel giorno nessun altro feudatario osò più in Gagliato e nei dintorni avanzare richieste di tal genere.
Vincenzo Pitaro
«Calabria Letteraria», nn. 7-8-9, Luglio-Agosto-Settembre 1986

L’origano di Gagliato
e le sue straordinarie virtù

L’origano di Gagliato? Ha un profumo unico e inconfondibile. Si differenzia di gran lunga da quello che si trova in ogni altra parte della regione, per il suo intenso profumo di spezie e per le molteplici proprietà e indicazioni. Sono in molti a sostenerlo. Per iniziativa di alcuni studiosi canadesi, peraltro, l’origano di Gagliato è stato oggetto di importanti ricerche a causa della sua ricchezza di principi curativi per l’apparato respiratorio. I risultati ottenuti sono piuttosto soddisfacenti. Questa pianta perenne, usata sia in cucina come aromatizzante che in erboristeria, d’altronde,  è conosciuta fin dall’antichità.
Ora, finanche la fitoterapia l’annovera tra i suoi migliori rimedi, soprattutto come espettorante, antitussigeno, antisettico, analgesico, antispasmodico, calmante. L’origano  indicato anche in caso di inappetenza, aerofagia, pigrizia intestinale, contro  cellulite, eczemi, psoriasi, e via dicendo. Viene adoperato sotto forma di olio essenziale, infuso, decotto, sciroppo, tramite inalazioni con le essenze (l’aromaterapia), bagni, cataplasmi e fomenti.
A Gagliato, questa pianta medicinale cresce spontanea in buona parte del territorio. A farne un aroma esclusivo nel campo gastronomico e ad affidarle tutte queste straordinarie virtù nel settore officinale, sarà forse il clima di questa zona, sarà il suggestivo contrasto mare-monti che avvolge l’intero territorio collinare o chissà.
A tal proposito, va detto che, fino a poco tempo addietro, in questo centro si è registrata una vera e propria raccolta selvaggia. Ognuno si è sentito autorizzato dall’indifferenza ad effettuare il raccolto a modo suo, arrivando quasi sempre a sradicarlo dal terreno, anzichè tagliarlo e lasciare una piccola parte dello stelo.
Ora, c’è già chi pensa di sensibilizzare l’amministrazione comunale al fine di adottare un provvedimento che possa impedire questo devastamento ad opera, soprattutto, di persone che verrebbero da tutto il comprensorio per raccoglierlo e venderlo nei mercati. E c’è di più: l’intenzione di creare un marchio sull’origano di Gagliato e di richiedere il riconoscimento della dop (denominazione d’origine protetta).
Vincenzo Pitaro - Rivista scientifica MTM (Medical Team Magazine), www.mtmweb.it

Dialetto - Poesia

Gagghjàtu
(Gagliato)

O chjanùra ‘e Gagghjatu
chi ti spìecchji supa ‘u mara,
chidhu Ddiu chi t’ha criàtu
fhortemente t’avìa amara!

Ti trattàu cu’ tantu amuri,
pua ti dezza ‘u sorrisu,
misa a l’oleandru ‘u fhjuri,
vozza ‘u fha ‘nu Paradisu.

Fhicia ‘i stidhi u su’ brillanti,
dissa o' sula 'mu caddija,
'nzignàu ê cìedhi i mìegghju canti,
ogni fruttu penzàu u crija.

'E janéstra o bruvéra
'u profhumu è sempa ‘ntùornu,
ca ‘u vìernu è primavera
e ‘a notta adhùcia ‘e jùornu.
Vincenzo Pitaro

Traduzione letterale: O collina di Gagliato / che ti specchi sopra il mare, / quel Dio che ti creò / fortemente ti doveva amare! / Ti trattò con tanto amore / poi ti diede il sorriso, / persino l’oleandro ebbe il fiore, / volle fare un Paradiso. / Fece le stelle come brillanti, / disse al sole di riscaldare, / insegnò agli uccelli i canti migliori / e pensò a creare ogni tipo di frutto. / Di ginestra o di erica dei boschi / nell'aria c’è sempre il profumo / perché l’inverno qui sembra primavera / e la notte s’illumina di giorno.
Questa poesia in versi ottonari è stata dedicata a Gagliato dal giornalista e scrittore Vincenzo Pitaro nel 1985.

Antichi Proverbi di Gagliato

I proverbi e le sentenze popolari in dialetto gagliatese sono pressoché quelli in uso in tutta la regione, e quindi omettiamo qui di farne menzione. Ne riportiamo alcuni che riguardano particolarmente il paese di Gagliato.
Quello che è il più conosciuto per tutta la Calabria, e che, per la sua seconda parte, fa venire la mosca al naso a più d’uno (specialmente fra i giovani) è il seguente: «Si vua 'mu ti mariti va’ a Gagghjiatu, / ammìenzu Chjiaravadhi e Santu Vitu» (Se ti vuoi sposare va’ a Gagliato, al centro tra Chiaravalle e San Vito sullo Jonio). Fin qui nulla di grave, si direbbe. Se non che il seguito appare irriguardoso e, ahinoi!, lesivo della buona reputazione di cui invece godono le ragazze da marito gagliatesi. I versi successivi quasi certamente aggiunti da qualche buontempone di un paese vicino, chissà?, forse perché non corrisposto da qualche fanciulla dei tempi andati, è la seguente: «All’ùottu jùorni scindi a Suvaratu,  ti pigghji la patenti di curnutu» (Dopo otto giorni puoi scendere nella vicina Noverato per prenderti la patente di cornuto).
Ciò che non rispecchia per nulla lo stato d’animo e la predi-sposizione umana del gagliatese, nel momento in cui gli si chiede qualcosa, è l’altro proverbio che dice: «Gagghjiatu, nemicu di Cristu, mancu lavàtu trùovu mu mi prìestu» (Gagliato, nemica di Cristo, non trovi neppure un po’ di lievito, fatto in casa per la preparazione del pane, da chiedere in prestito).
Nel comprensorio di Serra San Bruno, infine, ad una ospite che freme di prender cappello, gli viene ingiunto: «E chi? Venisti cùomu lu suli di Gagghjiatu?» (E che? Sei venuto come il sole di Gagliato?)
Locuzione che deriva dalla convinzione popolare (piuttosto errata) che il sole a Gagliato avrebbe una eclittica breve; nel senso che esso sorgerebbe e tramonterebbe in un brevissimo intervallo di tempo.
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(da «Gagliato & Dintorni - Vademecum per il Turista» - © Edizioni L’altra Calabria - www.l’altracalabria.it - Direttore Responsabile: Vincenzo Pitaro)

Altri proverbi Gagliatesi

Moltissimi altri proverbi e modi di dire sono stati raccolti – nel corso degli anni - dalla viva voce degli anziani del paese dal giornalista e scrittore Vincenzo Pitaro ed inseriti in vari volumi. Oggi, molti di essi sono in disuso, se non addirittura sconosciuti dalle nuove generazioni, e ciò è un vero e proprio peccato perché rappresentano un autentico patrimonio di antica saggezza popolare che merita, senza dubbio, di essere conservato non solo per gli studiosi di dialettologia o per gli antropologi ma per tutti coloro che – ben consci del fatto che senza passato non ci potrà mai essere futuro – hanno capito l’importanza che riveste questa tematica. Eccone alcuni:

Si chjova ntro misi d’agustu,
si fha ùogghju, manna e mustu
Se piove nel mese di agosto,
si produce olio, fieno e mosto (vino)

Sant’Andrìa porta la nova
ca ‘u quattro è de Varvàra,
‘u sia è de Nicola, l’ùottu è de Maria,
‘u tridici è de Lucia
e ‘u venticincu dô Veru Messìa

Sant’Andrea apostolo, fratello di San Pietro, che la Chiesa ricorda il 30 di novembre, è considerato – nella civiltà contadina – come l’annunciatore ufficiale delle imminenti festività dicembrine: Sant’Andrea porta la notizia che il quattro è di Santa Barbara, il sei è di San Nicola, l’otto è dell’Immacolata, il tredici di Santa Lucia e il venticinque del Messia.

‘E Santu Nicola l’annu vacia u vola
Dal giorno in cui si festeggia San Nicola (prima domenica di dicembre) in poi, l’anno si appresta a tramontare

Cu ‘i rumbi ‘e marzu si rivigghjanu i scorzuni
Con i tuoni di marzo si svegliano i serpenti

Tamarri e nani
non portano pastrani.
La gente rozza e i nani (o in genere tutti coloro che sono piccoli di statura) non indossano cappotti lunghi.

‘A pinna ti jetta, cchjù d’a scupetta
La penna uccide più del fucile

‘U jumbarùsu ammìenzu ‘i strati,
va’ vidìendu ‘a jumba ‘e l’atri
Il gobbo, o chi è pieno di difetti, va guardando nelle strade la gobba degli altri. Nel caso non riuscisse a trovarne una maggiore, inventerebbe difetti agli altri nel tentativo di trovare consolazione.

Pô cìecu, tuttu ‘u mundu è scuru
Per il cieco, tutto il mondo è scuro, buio

Quando dui si mbrìganu,
i ‘mpami si ‘nzuppanu ‘u pana
Quando due persone litigano,
gli infami, i nemici, s’inzuppano il pane. Ne godono.

(da «Gagliato & Dintorni - Vademecum per il Turista» - © Edizioni L’altra Calabria - www.laltracalabria.it - Direttore Responsabile: Vincenzo Pitaro)

Gastronomia
Antiche ricette gagliatesi

Sono numerose le ricette di cucina, prettamente gagliatesi, che si preparavano nell'Otto e Novecento. Al termine di un nostro personale studio di ricerca, effettuato molti anni fa tra le anziane massaie (più colte), siamo riusciti a raccoglierne oltre cento. Molte di esse, oggi, sono pressoché scomparse o del tutto sconosciute tra le giovani generazioni. Ne pubblichiamo alcune.

Penne alla Gagliatese. Dosi per 4 persone: 350 gr di penne, 180 gr di ricotta fresca, 120 gr di olive nere snocciolate, 1/2 cipolla, olio, sale, pepe.
Tritare finemente le olive e mescolarle alla ricotta. Unire la mezza cipolla tritata, 6 cucchiai di olio e una macinata di pepe nero. Amalgamare bene gli ingredienti in una zuppiera. Lessare la pasta e diluire la salsa con un mestolo di acqua di cottura delle penne. Scolarle e versarle nella zuppiera, mescolare bene e servire subito.

Spaghetti di Zia Carmela. Dosi per 4 persone: 350 gr di spaghetti, 4 pomodori secchi, 12 olive verdi snocciolate, 2 filetti di acciuga sott'olio, 1 spicchio d'aglio, 1 ciuffo di prezzemolo, olio e sale q.b.
Snocciolare e tagliare a pezzetti le olive. Scolare i pomodori e tagliarli a striscioline. Preparare un trito di prezzemolo, aglio e filetti d'acciuga. Scaldare 5 cucchiai di olio d'oliva in un largo tegame e fare rosolare a fuoco dolce tutti gli ingredienti, bagnando con 1 bicchiere di acqua calda. Lessare la pasta, scolarla e versarla con il condimento. Farla insaporire a fuoco basso e servire.

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Tutti i testi e le foto su Gagliato (Catanzaro), qui riportate, sono state tratte da «Gagliato & Dintorni», pubblicazione del giornalista Vincenzo Pitaro © Copyright by L’altra Calabria, testata giornalistica e casa editrice - www.l’altracalabria.it ® Registrazione: Tribunale di Catanzaro n. 15/91 del 18 gennaio 1991 - Direttore Responsabile: Vincenzo Pitaro

I sindaci di Gagliato dal 1809 ad oggi

Gagliato, l’albo dei sindaci

Mario Pelaggi (1809 -1810)

Giovanni Pelaggi (1810 -1811)

Domenico Gareri (1811-1812)

Luca Pelaggi (1813 -1815)

Pasquale Passafari (1815 -1817)

Francesco Saverio Romiti (1817-1819)

Giovanni Gareri (1819 -1820)

Gregorio Gareri (1829 -1822)

Guglielmo Caloierà (1823 -1826)

Mario Pelaggi (1826 -1831)

Francesco Saverio Passafari (1832-1834)

Mario» Pelaggi (1834 -1840)

Francesco Saverio Passafari (1841-1848)

Antonio Gareri (1848 -1850)

Domenico Antonio Peronaci (1851-1854)

Vito Sgro (1855 - 1859)

Domenico Zalfino (1860)

Francesco Saverio Passafaro (1860 - 1861)

Vincenzo Pelaggi (1872 - 1873)

Giovan Battista Pelaggi (1873 - 1893)

Giovan Battista Garito (1894 -1895)

Giuseppe Romiti (1895 -1902)

Giovan Battista Garito (1903 - 1913)

Giuseppe Romiti (1914 -1918)

Nicola Pelaggi (1919 - 1924)

Giovanni Cutruzzolà, podestà (1925 -1928)

Luigi Chimirri, comm. prefettizio  (1928 - 1929)

Gennaro Romiti, comm. prefettizio  (1929 -1930)

Gennaro Romiti, podestà (1931 - 1939)

Luigi Garito, commissario prefettizio (1939 -1940)

Pasquale Passafari, comm. prefettizio (1940 - 1943)

Gennaro Romiti, comm. prefettizio (1943 - 1945)

Ilario Nicola Leone, comm. prefettizio (1945 - 1946)

Gennaro Romiti (1946 - 1952)

Giovan Francesco Ranieri (1952 - 1956)

Luigi Romiti (1952 - 1960)

Giovan Francesco Ranieri (1960 - 1964)

Luigi Romiti (1964 -1970)

Antonio Ilario Aspro (1970 - 1975)

Luigi Romiti (1975 - 1985)

Michele De Vita (1985 - 1987)

Francesco Fodaro (1987 - 1992)

Francesco Viscomi (1992 - 1995)

Luigi Romiti (1995 - 2004)

Giovanni Sgro (2004 - 2009)

Francesco Fodaro (2009 - 2014)

Giovanni Sgro (2014 - 2019)

lunedì 3 marzo 2014

Gagliato

di Vincenzo Pìtaro

A due passi dalla riviera ionica soveratese e dalle Serre splendide e incontaminate. Dalla collina su cui sorge, Gagliato si affaccia a terrazza sul mitico mare di Ulisse, tanto decantato da Pindaro, dominandone tutto il golfo di Squillace fino a lambire le aride marne di Punta Stilo.
Una vista panoramica davvero incantevole, esaltata da un’aria tersa e luminosa, tipicamente mediterranea. La vegetazione è ricca e multiforme, grazie al suggestivo contrasto marino e, nello stesso tempo, montuoso che avvolge l’intero territorio collinare. C’è un’aria diversa a Gagliato, ora viva, ora ritemprante.
Celebrato anche da eminenti studiosi, il clima di Gagliato (350-400 metri di altitudine) è ideale per chi cerca relax e distensione.
Già i latini definivano questo luogo «Salubri loco situm». Gagliato, infatti, sin da secoli lontanissimi, è sempre stata una località climatica per pochi privilegiati. Basti pensare che, nel 1691, padre Giovanni Fiore da Cropani, nella sua «Calabria Illustrata», esaltava Gagliato per le «buone comodità quanto al vivere, abbondando di molte cose», definendola, peraltro, «terra di gran civiltà, posta in bel sito molto vistoso et in aere molto perfetto».
E il marchese Sanchez de Luna, alla cui famiglia questo marchesato apparteneva fin dal 1627, dopo aver lasciato la vita movimentata di Napoli per rifugiarsi nella quiete di Gagliato, così scriveva: «Per ritrovare me stesso, preferisco ritirarmi nella quiete delle mie terre e quivi immergermi nello studio e nella letteratura dei classici antichi, e di tutto ciò che germoglia dagli alberi eruditi dello Stoa e del Peripato». In effetti il marchese Sanchez de Luna amò sovente ritirarsi fra i suoi possedimenti di Gagliato, presso il mare Ionio, per ritrovare serenità di spirito, diletto e saggezza che molti suoi parigrado concittadini ignoravano. «Qui vivo in grembo all’innocenza», scrisse in una sua pubblicazione. Una meraviglia della natura, insomma. Uno spettacolo da sempre incantevole. Un angolo di Calabria davvero bello, esaltato da tutto ciò che una natura, suggestiva e generosa, ha saputo dispensare a piene mani: la serenità della collina (tra l’argento degli ulivi e il verde degli aranci), la sfida dei monti circostanti, il suono ritmico e scrosciante dell’Ancinale (l’antico fiume Cecino descritto da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, ai tempi del quale era navigabile o, meglio ancora, il fiume Kaikinos degli antichi Greci dal quale trasse ispirazione anche Omero).
Ed ancora: il riflesso del mare Ionio, lo stupore di inattesi panorami dove i raggi del sole, liberati da ogni impurità, irradiano più luce e calore, rendendo più mite l’atmosfera, più limpido il ciclo e più colorato, con attorno un profumo di fiori (acacia, zagara, mandorlo, ginestra, magnolie, oleandri, ecc.) sempre più inebriante. Nasce cosi il clima salubre di Gagliato, dove la primavera, l’estate, l’autunno e l’inverno hanno sempre la loro tipicità tutta mediterranea.
Da queste parti, dunque, è sempre un’avventura restare a contemplare lo spettacolo della natura e meravigliarsi di quanti altri fiori, che nascono spontaneamente, colorano l’ambiente e di quanti uccelli lo rendano più allegro.
Il turista scoprirà l’amena e romantica bellezza di un paesaggio d’altri tempi. Un paesaggio vario e ricco di fascino, dove i colori si accendono, all’improvviso, come in una scenografia e si spalancano per scoprire l’incantevole orizzonte ionico.
Sarebbe davvero un peccato non poter visitare e conoscere più a fondo questo centro del Catanzarese, autentica testimonianza di una storia e cultura millenaria. Oltre alla zona archeologica, ai ruderi della Grangia Certosina, ci sarebbe da incamminarsi per i suoi artistici vicoli, dove è possibile ammirare i portali di antichi palazzi signorili, il caratteristico balconcino secolare in ferro battuto e... tanti altri grandi tesori architettonici che sicuramente non mancheranno di affascinarvi. Perché questo centro pittoresco conserva, da secoli, un ricco patrimonio ancora tutto da scoprire. Ed è anche per questo motivo che, a Gagliato, l’emozione ogni giorno soffia più forte!
© Vincenzo Pitaro
Calabria Letteraria n. 7, Luglio 1998

Le "Fantasie capricciose" del marchese di Gagliato

di Vincenzo Pitaro
 
Il 3 marzo 1711 il regio banditore Luigi Moccia dava lettura in Napoli di un bando emanato il 25 febbraio precedente.
Essendo dato alle stampe e pubblicato un libello satirico e sedizioso dal titolo Fantasie capricciose, ad opera di un non ben precisato Ramigdio Glatesecha, si ordinava a chicchessia di non venderlo o ritenerlo, in quanto «s’è riconosciuto che contenga notizie false e temerarie». La pena per i trasgressori sarebbe stata oltremodo severa: l’esilio «et altre pene a discrezione nostra» per le persone di nobile lignaggio; cinque anni di «galea» per i librai e per tutte le persone non nobili.
Che cosa conteneva di tanto scandalistico il libro incriminato per far allarmare le Autorità? E chi era lo sconosciuto autore che si celava sotto lo pseudonimo di Ramigdio Glatesecha?
Per la verità il nome era noto sia al viceré, sia a tutti coloro che da più di un anno avevano letto il libro. Era stato lo stesso autore che, in ultima pagina, aveva rivelato che lo pseudonimo, apparente sul frontespizio, altro non era che l’anagramma del Marchese di Gagliato. L’autore era dunque un nobile; per la qual cosa difficilmente sarebbe stato perseguito, a meno che le colpe non fossero state di una certa gravità.
L’intrepido Marchese di Gagliato era Giovanni Sanchez de Luna, alla cui famiglia questo marchesato apparteneva fin dal 1627, allorché per matrimonio le fu ceduto dai Morano. I Sanchez, che vi incardinarono il titolo di Marchese, furono i soli feudatari che a Gagliato ricoprirono tale titolo nobiliare; fatto salvo un loro diretto discendente, Sanchez de Luna, appunto, che vi incardinò il titolo di Duca.
Stando a quanto vi si legge nelle Fantasie capricciose, Sanchez de Luna non dovette per niente essere un tipo molle e neghittoso, amante solamente dei piaceri mondani e indifferente ad ogni interesse culturale. Tutt’altro. Egli fu un uomo colto, appassionato dei classici latini - specialmente Cicerone e Tacito - con spiccato interesse per la cultura moderna pervasa, in quel tempo, dal razionalismo illuministico. Disdegnò però i deisti definendoli «scemi di senno e allucinati di intelletto».
Sanchez non amò altresì la vita mondana di corte e quella rumorosa della città. Volle decisamente rifuggire dalle mollezze usuali all’aristocrazia del suo tempo; la quale non gli risparmiò lazzi e rimproveri per quelle sue «stramberie» che lo inducevano a menare vita appartata. Per ritrovare se stesso, come andava ripetutamente affermando, preferiva ritirarsi nelle quiete delle terre di Calabria e quivi immergersi nello studio e nella lettura dei classici antichi, e di tutto ciò «che germoglia dagli alberi eruditi del Liceo, dello Stoa e del Peripato».
In effetti, il Marchese Sanchez de Luca amò sovente ritirarsi fra i suoi possedimenti di Gagliato, presso il mare Jonio, per ritrovare serenità di spirito, diletto e saggezza che molti suoi parigrado concittadini ignoravano e disprezzavano. «Qui vivo in grembo all’innocenza», egli scriveva nei suoi Capricci, «ed osservo puntualmente i precetti della morale, aspettando la morte e sospirando i continui infortuni capitatimi in patria».
Affermazioni, queste, che fecero dire a Pasquale Lopez, autore di un saggio critico sul Marchese di Gagliato, che non furono solo la quiete e l’amore dei classici che spinsero il Nostro a lasciare la vita movimentata di Napoli.
Ma, a detta di Lopez, dovettero concorrere non poco, a tale suo divisamento, la serie di peripezie in cui si trovò coinvolto e le vicende storiche che interessarono il Regno. All’inizio del ‘700 ebbe delle liti in pendenza con il Principe di Satriano, Girolamo Ravaschieri, e con il Duca Marincola di Petrizzi, i quali lo avevano accusato di complicità con alcuni briganti calabresi. Altre contrarietà gli vennero procurate dalle vicende storiche più in generale. Difatti aveva riposto molte speranze negli Austriaci, quando vi subentrarono agli Spagnoli.
Fece molto affidamento sull’arciduca Carlo d’Asburgo perché a Napoli ci fosse un futuro migliore, piena giustizia nei confronti di chi «rubava la roba agli innocenti», e maggiore rispetto negli antichi valori. Grande fu la sua delusione quando si avvide che coi nuovi venuti era cambiato il «padrone non già la condizione»!
Ad esasperarlo ancor di più concorsero, infine, la guerra di successione e lo scontento del popolo per le continue vessazioni e gabelle cui veniva fatto oggetto. Fu tutta questa serie di contrarietà che lo convinsero di scrivere «qualcosa» attraverso cui potesse dare sfogo, prima di finire i suoi giorni, a tutto ciò che di amaro gli ribolliva dentro. In questa disposizione di spirito, si risolse a scrivere le Fantasie capricciose: un indice di vizi e di aspetti più deteriori della classe agiata. Ne ebbe per tutti e per tutte le categorie sociali.
I suoi strali iniziarono riprendendo il comportamento licenzioso e permissivo di «certe Dame» fatte per «rovinare i loro rispettivi mariti».
Proseguirono nei confronti del ceto nobiliare che, trascurando l’utile della patria per i propri piaceri, «non ha che un sol occhio per vedere le sue miserie». L’acrimonia che il Sanchez de Luna usò nei confronti dei nobili, alla cui classe egli stesso alla fin fine appartenne, derivò da un suo personale convincimento secondo cui quelli fossero assolutamente insensibili agli sviluppi politici della Nazione. Il Sanchez de Luna fece parte della schiera di quei patrizi illuminati che tanto ebbero a cuore le sorti e le fortune della patria, e più conseguentemente si prodigarono per garantirne un futuro migliore ed un nuovo ordine politico, in cui l’aristocrazia avrebbe dovuto ricoprire un ruolo prioritario. Il pamphlet ebbe come obiettivo appunto questo: scuotere la classe dominante dal secolare torpore, per farla uscire dall’ignoranza, affinché assurgesse alla guida politica e morale della Nazione. I motti satirici non risparmiarono nessuno. Coinvolsero indistintamente clero («migliore sarìa bruciargli in chiesa le mani, ma dalla vostra casa fargli stare sempre lontani»); i medici, «costretti a dar da intendere al vulgo ignorante lucciole per lanterne»; per poi ammassare in un unico fascio, speziali, magistrati, avvocati, fin a coinvolgere l’intera Napoli che definiva «tutta vota di cervello».
Scoperto e ritenuto responsabile della «sediziosa operetta» Sanchez de Luna confessò subito d’esserne l’autore. Per prima cosa fu fatto rinchiudere nel Castel di Sant’Elmo per cautelarlo da qualche malintenzionato, il 14 gennaio 1712. Il successivo 25 febbraio veniva emanata la condanna ed informati quanti ne erano stati oltraggiati di richiederne le opportune riparazioni.
Queste giunsero tempestive con delle formali scuse, chiaramente di circostanza, di Ramigdio Glatesecha che, dopo qualche mese di prigione, fu ricondotto in libertà. Si spense a Napoli il 10 aprile del 1714 ed il giorno dopo fu sepolto, nel sacello di famiglia, nella chiesa dell’Annunziata.
 
Lo «Jus primae noctis» tra storia  e leggenda
 
La figura di un certo Marchese Sanchez, molto probabilmente un antenato dell’autore delle Fantasie capricciose, è circonfusa da un alone di leggenda che a Gagliato si tramanda di padre in figlio e di generazione in generazione. Si tratta beninteso di leggenda, nel senso che non si hanno riscontri oggettivi nelle documentazioni storiche. Ma avendo tutte le leggende qualche indiscutibile documento storico, vale la pena esporla così come viene narrata dagli anziani di questo centro.
In epoca medievale Gagliato era infeudata ad un certo Marchese Sanchez, al quale le giovinette che intendevano convolare a nozze dovevano pagare il tributo del «jus primae noctis».
La consuetudine si protrasse alquanto nel tempo; senonché giunse in età da prender marito una graziosa fanciulla appartenente alla famiglia di ben precisati Codispoti. Malauguratamente - per il Marchese, s’intende - la promessa sposa aveva quattro robusti fratelli i quali, armati di tutto punto, attesero in casa l’arrivo dei birri che la dovevano prelevare e condurla al Palazzo.
Giunti a destinazione, i tre bravi furono assaliti dai fratelli Codispoti, uccisi e fatti a pezzi. I loro corpi furono esposti nei pressi di Porta San Carlo ad un albero di olivo (che, per l’appunto, ancora oggi porta il nome di «olivara ‘o quartu», a significare i quarti in cui erano stati ridotti quei corpi) spacciandoli per carne macellata di fresco.
Il Marchese, a sua volta braccato dagli animosi fratelli, riuscì a salvarsi nascondendosi in un materasso imbottito di paglia che fu fatto trasportare dai domestici, fuori paese, al sicuro.
Del singolare Marchese non si sa se sia più tornato o meno nei suoi possedimenti, o che fine abbia fatto in seguito a quello episodio.
Di certo si sa che da quel giorno nessun altro feudatario osò più in Gagliato e nei dintorni avanzare richieste di tal genere.
© Vincenzo Pitaro

Quei giorni in cui conobbi Padre Pio

di Grazio Pitaro
 
Nel dicembre del 1950, approfittando della pausa natalizia, poiché insegnavo, decisi di recarmi nelle Puglie e precisamente a San Giovanni Rotondo in quel di Foggia, presso il convento dei frati cappuccini sul Gargano.
Partii dal mio paese (Gagliato) che era passato da poco Natale, e, dopo un viaggio estenuante, scesi dal treno alla stazione di Foggia; qui noleggiai un taxi che mi condusse a destinazione.
Giunto al convento, una folla si assiepava attorno. Dopo aver dato di sfuggita un'occhiata al grandioso ospedale «Casa Sollievo della Sofferenza» costruito con il contributo dei fedeli di tutto il mondo, e che allora ospitava circa seicento degenti, entrai in chiesa per pregare; quindi mi recai in albergo per prenotare una stanza. A dire il vero, trascorsi una notte insonne subendo i rigori dell'inverno, e, impaziente, ero in attesa che sorgesse l'alba per assistere alla messa di Padre Pio.
Erano le cinque del mattino, e, ancora tra il lusco e il brusco, mi diressi al convento; fui subito in chiesa, la quale era già gremita di fedeli in devoto raccoglimento ed in un contegno edificante.
Padre Pio, dal volto prettamente ieratico, rigato di lacrime e con i segni tangibili della sofferenza, si accinse a celebrare la messa che durò due ore: dalle cinque alle sette. La fronte imperlata di sudore e rigata da solchi profondi, con il viso coperto di grinze. Egli sembra va rapito in estasi; soprattutto al momento della consacrazione della specie eucaristica, e pareva avesse un abboccamento con Dio. Furono momenti di commozione e di riflessione.
Terminata la messa, impartì la benedizione e, provato dalla sofferenza per le stigmate alle mani, al costato ed ai piedi, a stento si avviò in sacrestia ed ivi depose i paramenti sacri. Feci di tutto per avvicinarlo, e fu proprio in sacrestia che ebbi la possibilità, da me tanto agognata, di rivolgergli un'invocazione: «Padre, datemi la santa benedizione prima che io riparta alla volta della Calabria» gli chiesi. Ed Egli, ponendomi una mano sulla spalla: «Dio ti benedica!».
Rimasi un po' esterrefatto, perplesso, perché me lo disse con un tono che io credetti fosse venato di qualche allusione, e mi lambiccai il cervello per carpirne il vero significato. Mi rasserenai però all'istante, poiché intuii subito che Padre Pio volle farmi intendere il suo disappunto per il fatto che non avevo chiesto di confessarmi. Pur consapevole di ciò, dovetti disdire la prenotazione, assalito dalla fretta di ritornare a casa per essere puntuale il 7 gennaio, giorno della riapertura delle scuole.
Lasciai San Giovanni Rotondo, oasi di pace e di serenità di spirito, con l'intenzione di ritornarvi. Anni dopo, ed esattamente nell'agosto del '65, decisi di rivedere Padre Pio, viepiù ispirato da quella fede che animò San Paolo convertitosi sulle vie di Damasco: «Sine fide impossibile est piacere Deo». Intrapresi il viaggio con un caldo asfissiante, sotto la sferza implacabile della canicola e del sole torrido d'agosto. Arrivato che fui a destinazione, stanco dal viaggio, per fortuna trovai una stanza vuota in albergo. Non un alito di vento che potesse smorzare la calura ed apportare un che di refrigerio si udiva dintorno. La mattina, svegliatomi di soprassalto allo squittio indiscreto degli uccelli, mentre una nuvolaccia apparsa improvvisa si accingeva ad offuscare il cielo, ebbi la sensazione di trovarmi in un paradiso terrestre. Mi diressi al convento dove Padre Pio stava celebrando la messa assai per tempo, come di consueto.
Nel pomeriggio riuscii, tramite una persona alquando influente in convento e che ebbi modo di conoscere, ad ottenere un biglietto di prenotazione; la qualcosa mi permise di confessarmi. Dopodiché vincendo autosuggestione ed emotività, effettuai una breve passeggiata nel cortile circostante il convento con alcuni amici colà conosciuti.
Terminata la Santa Messa e ricevuto che ebbi la Comunione, intravedendo Padre Pio che stava per raggiungere la sua cella, mi intrufolai, non si sa come, in un varco inspiegabilmente apertosi fra due ali di folla che si agitava dattorno. Mi fu consentito, così, di conferire con Lui, consegnarGli due lettere e porGli alcune domande le cui risposte mi consolarono. A San Giovanni Rotondo, durante la mia permanenza, vissi momenti di paradiso e di tranquillità intcriore; mi sentii in tutto trasformato nel seguire le messe del Frate del Gargano. Chi ebbe modo di recarsi colà non rimase certamente deluso nel vedere Padre Pio, il grande Taumaturgo dalle stigmate, che sempre affascinò attirando a sé la folla, infondendo negli animi una ineffabile pace interiore. Padre Pio, al secolo Francesco Forgione, nacque a Pietrelcina (BN) nella vecchia casa di vico Storto 27, umile dimora di contadini, alle cinque del matttino del 25 maggio 1887, un mercoledì. Il giorno successivo il padre Grazio, «zi' Grazio», e la madre Maria Giuseppa De Nunzio, si recarono al comune per registrare il neonato.
Al fonte battesimale gli imposero il nome di Francesco. Solo allorquando divenne sacerdote dell'ordine dei minori adottò il nome di Padre Pio da Pietralcina; quest'ultima annotazione fin a qualche tempo fa era obbligatoria aggiungerla al proprio nome, poiché così prescriveva la regola monastica. Quella mattina in cui Francesco Forgione vide la luce, la levatrice Grazia Formichelli sollevandolo per aria esclamò: «Giuseppa, il bimbo è nato in velo bianco ed è un buon segno; egli sarà grande e fortunato». Già d'allora sembrò che lo Spirito Santo avesse voluto dare un segno tangibile dei suoi alti criteri, ponendo sulla bocca di quella umile levatrice un così veritiero vaticinio. Padre Pio ricevette le stigmate il 20 settembre del 1918 mentre nel coro recitava l'Ufficio con gli altri confratelli.
Egli operò un'infinità di miracoli a persone presenti e lontane, tramite la bilocazione ed il suo flusso di asceta. Fu il «burbero benefico» che sotto modi apparentemente scontrosi e bruschi, celò bontà e gentilezza d'animo, avendo avuto per tutti una parola di conforto, di sprone, ma anche di ammonimento. Lenì il dolore di tanti derelitti, diseredati, e terse le loro lacrime. Padre Pio non è morto, come non muoiono i martiri e gli eroi. Per Lui non giunse l'ora del tramonto, ma sorse l'alba dell'eternità. Fu, e continua ad esserlo, sempre una sorgente di acqua viva dove si dissetarono quelli che erano avidi di affetto, di pace spirituale e di verità. Fu un lavacro costante e salutare che purificò radicalmente le coscienze.
Da Lui si recarono uomini illustri, increduli, atei, curiosi, che facendosi scudo della loro megalomania, pensavano di poterla impattare, ma non poterono che arrendersi umiliati e confusi. Dovettero inchinarsi riverenti e timorosi deponendo ai suoi piedi la loro superbia ed il loro scetticismo. Fu, il Nostro, l'intermediario, l'anello di congiunzione tra la terra e il cielo; risolvette casi insperati con guarigioni di malattie ribelli ad ogni terapia. grande dolore per il mondo cattolico. Si spense alle 2,30 del 23 settembre del 1968, mentre invocava flebilmente il nome di Gesù e della Madonna.
Egli ci guidi, ci protegga e ci benedica dal cielo dove si canta eternamente il peana della gloria e dell'amore.
Lasciai per sempre San Giovanni Rotondo con nostalgia, mentre il cielo andava coprendosi di nubi plumbee, con immagini e sensazioni che resteranno scolpite nel mio cuore a caratteri aurei e indelebili.
Considerazioni. Durante il viaggio di ritorno da San Giovanni Rotondo, mentre scendevano le ombre della sera e le brume estive offuscavano l'orizzonte, dopo aver riflettuto a lungo e ricordando, come sempre, la netta differenza tra fumano e il divino, mi venne fatto di pensare che navighiamo in un mare travagliato dalla tempesta ed in cui imperversa la bufera della malignità.
Viviamo in un mondo sconvolto dal male, dall'odio, dalla violenza, dal malcostume, m cui l'ingiustizia tende ad avere piena supremazia ed eccellere, sovrana, sulla dignità umana.
Viene derisa la morale e si allarga viepiù la cerchia della malvagità con il boicottaggio di tutte le iniziative, con cinismo e sadismo.
Il tempo, però, mitigherà i dolori o li fa dimenticare; ristabilirà la verità, riparerà i torti, porrà un freno alla corruzione che contagia, senza tregua ed in modo invadente, gli animi; ridimensionerà i problemi.
«Tempus omnia medetur»: il tempo rimedia a ogni cosa. Ci sono fattori imponderabili, imprevedibili che modificano anche radicalmente lo svolgimento ed i risultati dei nostri progetti.
I sentimenti non prendono ordini e non c'è evento, sia pur minimo, che esca dal regolato ordine dell'universo.
Oggi, come sempre, si misconosce Dio, si mette in gioco la Sua divina esistenza da parte di gente pusillanime e che si pavoneggia di se stessa, cullandosi sugli allori, della sua gloria, della sua giustizia.
«Beati qui credunt et non vident».
Un giorno il Signore Dio scenderà dal ciclo, Giudice supremo e severo con la Sua Croce, testimone oculare delle sofferenze, con quella Croce sulla quale si consumò il più grande dramma della storia e in nome suo a Costantino arrivò la vittoria su Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio.
E sarà proprio nel giorno del Giudizio Universale che il Signore Dio pronunzierà il Suo famoso ed inconfutabile verdetto.
Concludendo queste considerazioni, non posso non convenire che la vita quaggiù è una prova, un sillogismo la cui conclusione è il Cielo. Tutto tramonta nell'oblio della terra, nel silenzio dei secoli! Perciò, niente odio né cattiveria, ma bontà, sincerità e schiettezza d'animo, con tutti.
1986 © Copyright by Grazio Pitaro

Il prof. Grazio Pitaro, devoto calabrese che negli Cinquanta ebbe il privilegio di conoscere Padre Pio, racconta in questo saggio i suoi periodici incontri col Frate taumaturgo del Gargano, oggi San Pio da Pietrelcina. «È stata un’affascinante avventura umana», dice. «Furono momenti di commozione e di riflessione. E già d’allora il Frate dimostrava di avere un abboccamento con Dio».
Grazio Pitaro, è nato a Gagliato (CZ) il 5 settembre 1918. Fin da ragazzo ha avuto la vocazione sacerdotale, studiando al Ginnasio e Liceo Classico presso il seminario vescovile di Squillace.
Combattente nella Seconda guerra mondiale, ha partecipato alla campagna di Francia, Grecia e di Albania.
Insegnante (sul finire degli anni Quaranta) in vari centri della Calabria. Nel 1974, periodo in cui si è collocato in pensione, ha ricevuto dal Ministero della Pubblica Istruzione la medaglia d’oro per meriti professionali.
Da sempre, ha continuato a professare vivamente la fede religiosa, mantenendosi vicino alla Chiesa con particolare devozione alla Madonna e una grande considerazione per Padre Pio da Pietrelcina.